Esiste una contraddizione evidente nell’atteggiamento assunto dalla maggior parte delle persone che sostengono quello che è ormai diventato un vero e proprio mantra della "terapia" New Age: 

“basta che funzioni”. 

Se si chiede alla maggior parte di queste persone quale sia il corretto approccio nei confronti della malattia (escludendo i casi gravi che richiedono un intervento di urgenza, naturalmente) ci si sentirà rispondere abitualmente che la malattia non è qualche cosa da eliminare, da distruggere o da combattere, come fa la medicina allopatica. 

Al contrario, la malattia  deve essere compresa nel suo significato, in quanto la sua insorgenza implica una sorta di distacco o di alterazione rispetto all’equilibrio naturale con se stessi e con l’ambiente.

Ma allora, perché basta che il rimedio funzioni, qualunque esso sia? Questo atteggiamento è applicabile soltanto, come si diceva, in casi di assoluta necessità e urgenza, nei quali non è possibile cercare di comprendere il significato della malattia ma è necessario “liberarsene” al più presto, indipendentemente dagli effetti indesiderati che possano seguire all’intervento terapeutico stesso.

Ma se invece la malattia implica il suo riconoscimento e la sua comprensione, allora perché assumere l’atteggiamento  di chi  vuole liberarsene a tutti i costi, utilizzando qualsiasi rimedio, purchè funzioni? 

Non è indice di un atteggiamento infantile e poco evoluto il cercare di sbarazzarsi al più presto e in qualunque modo della malattia, senza interrogarsi sul suo significato, su modalità alternative di gestirla, e, specialmente, riflettendo in maniera matura ed equilibrata su quale sia il cambiamento -  specialmente a livello mentale - che la persona dovrebbe operare ai fini della guarigione? 

Quale significato della malattia ricaviamo dall’assunzione di fiori di Bach o dalla sottoposizione a una seduta di agopuntura?